TURCHIA    1971

PICCOLA AUTO MALATA


Article Image

Congedato dal servizio militare, evado dalla caserma e torno a respirare aria pura. Con le prime paghette da supplente compro una MINI usata, all’ultimo stadio. In cima a ogni salita posso mettere a bollire gli spaghetti sul radiatore, ma è perfetta per me che ho il foglio rosa e voglio prendere la patente. L’amico Carlo è il mio istruttore.


Article Image

Mentre guido sulle strade delle colline intorno, lui goccia a goccia mi instilla la pozione magica: TOPKAPI... l’harem del sultano... turbanti e scimitarre... spie e complotti... Alla fine mi ipnotizza: sono d’accordo su tutto, organizzeremo la grande fuga fino a ISTANBUL, la porta dell’Oriente! Passo l’esame di guida però la patente tarda ad arrivare. La macchina ce l’ho, sarà una carretta ma si muove, vorrà dire che la guiderà lui.

Una sera Carlo sale su da me con due ritagli della rivista Grazia. Sono inserzioni. Due ragazze, Eva di Budapest e Micaela di Bucarest, stanno imparando la nostra lingua e desiderano corrispondere con coetanei in italiano. Subito mandiamo loro una breve lettera e loro ci rispondono con un invito. Ci credereste? Eva e Micaela hanno una sorella minore ciascuna. Che sorte, ragazzi: POKER di regine!

Article Image

Partiamo a luglio, emozionati (senza la scorta di penne biro e calze di nylon... sotto sotto siamo dei gentlemen). Naturalmente non seguiamo la via diretta, la prendiamo alla larga, passiamo prima da BUDAPEST poi da BUCAREST, dove ci godiamo giornate piacevoli in bella compagnia, vagabondando nel dedalo delle vie dietro la scia delle nostre pimpanti guide che ci portano a perdere. Però non riescono a seminarci e sono costrette a ospitare i due richiedenti asilo nelle proprie case. In salotto scambiamo sguardi rassicuranti con la mamma e giochiamo a scacchi con papà.

Article Image

Un bacio d’addio. Si riparte. La missione impossibile ci attende. Attraversiamo senza soste la Bulgaria e alle 2 di notte, in vista delle luci della Turchia, ci addormentiamo sul cruscotto sotto la protezione della mezzaluna.

Article Image

Entriamo a ISTANBUL in tarda mattinata. Il traffico è fiacco. Più che altro circolano taxi, vecchie macchinone americane riciclate e riverniciate.

Article Image

Istanbul ci abbaglia con le sue moschee e il bazar imbevuto di colori e odori. Qui, tra spezie e tappeti, incrociamo un uomo curvo sotto il peso di un armadio! Carlo non lo vede: è in stato di “““trance-da-shopping-sfrenato”””
Scendono le prime ombre della sera °°°AH-AAAH-AAH°°° dalla punta di un minareto sale un lamento da mal di pancia. E’ il richiamo del muezzin °°° entra dalla finestra del nostro albergo. Lo registriamo dal vivo, sarà il nostro souvenir più esotico.

Ormai sulla via del ritorno, lasciamo alle spalle il cielo di Istanbul, scarabocchiato dalle matitone verdi e blu. Viaggiamo sulle rive dell’Ellesponto, il mitico specchio d’acqua tra Europa e Asia. Il mare scorre a sinistra. Carlo guida con disinvoltura su uno stradone deserto. Stiamo entrando in Tekirdag, una cittadina turca.

Article Image

All’improvviso dalla corsia opposta sbuca una grossa CADILLAC NERA, scavalca lo spartitraffico, fa un’incredibile inversione a U e ci taglia la strada. ›››Frenaaa!‹‹‹
Sbamm! ///   Sbattiamo contro la Cadillac e la Mini si incastra sotto l’angolo posteriore di quella portaerei.
Scendiamo e guardiamo: dal muso ammaccato della Mini dolente gocciola un lago d’acqua che si allarga sull’asfalto. “FINE DELLA CORSA” esclama rassegnato Carlo, come Tex quando il suo cavallo stramazza al suolo dopo un’estenuante galoppata.
Lo stradone, prima deserto, in un nanosecondo si popola di una folla di ragazzini che fanno cerchio curiosi intorno all’incidente. Siamo al centro dell’attenzione, con cento occhi puntati in un silenzio d’attesa.
Dal macchinone scende un uomo corpulento in un “elegante” completo grigio. Non sembra preoccupato più di tanto. D’altronde, mentre la nostra Mini ha il radiatore sfondato e il paraurti schiacciato contro il pneumatico, la sua Cadillac ha solo qualche graffio nel posteriore.

Article Image

Arrivano i poliziotti, si fanno consegnare i documenti e ci accompagnano al commissariato. Il signore in grigio ha fretta, vuole dare un taglio alla procedura e chiuderla lì. Ci offre qualche dollaro per contribuire alle nostre spese.
“Dai Carlo, per favore accetta, ti supplico...” No e poi no! Carlo è una roccia e rifiuta sdegnato l’elemosina. E va a finire così: ci convocano 48 ore dopo in tribunale, dove si terrà il processo per direttissima.
La Mini è stata trainata dal meccanico più vicino, un omone unto in un antro preistorico. E qui, senza nessuna pietà, abbandoniamo nelle sue mani la povera macchinina.

Article Image

A Tekirdag, ci informano, c’è un CONSOLE ONORARIO italiano. Sorprendente! Andiamo da lui il giorno seguente per avere un appoggio. Ci accoglie in una villetta modesta nel quartiere residenziale. Sotto il pergolato spira un venticello fresco, si sta bene. E’ gentile, “diplomatico”. Ci spiega che qui il titolo di Console Onorario si tramanda di padre in figlio da non si sa quando... forse dai tempi delle Crociate, azzardiamo ridendo. (Tanto per dare l’idea: è come se a Spotorno ci fosse un Console Onorario turco pagato dal governo turco. Che senso avrebbe tutto questo?) Al racconto del nostro incidente allarga le braccia: è inutile che lui telefoni o si intrometta, in questi casi il giudice dà sempre ragione ai connazionali.

Article Image

Così, con la coda tra le gambe, lasciamo il console ai suoi ozi e torniamo dal MECCANICO, che di buona lena dà dei gran colpi di mazza al paraurti per staccarlo dalla ruota e per fargli assumere una forma vagamente assomigliante all’originale. L’unica cosa che sa dire (in tedesco) è GUT, quando il lavoro procede bene.
“Gut?” domandiamo noi dubbiosi. “Gut!” risponde prontamente lui ogni volta. E riprende a martellare il paraurti.

Il mattino seguente siamo in TRIBUNALE. Ci fanno sedere in uno stretto corridoio con le finestre da una parte e le porte delle aule dall’altra. Siamo tesi. Carlo risponde all’appello ed entra, io aspetto fuori. Arriva un valletto con un grande vassoio rotondo a bilanciere costellato di bicchierini fumanti. Prima di entrare nell’aula mi offre sorridendo un bicchierino di quel tè ben zuccherato. Grazie, ci voleva proprio per tirarmi su!

Article Image

Di lì a poco Carlo esce con la faccia scura. La sentenza: concorso di colpa. Conseguenze: ognuno ripara la sua auto a proprie spese. Ergo: noi spendiamo i nostri ultimi quattrini, intaccando anche le riserve segrete, mentre la controparte se la caverà con una rapida lucidata. L’interprete del tribunale, che sa un po’ di francese, ha confidato al mio amico che il signore in grigio è un personaggio locale di spicco: è addirittura l’ex sindaco di Tekirdag. Dunque la causa era persa in partenza!

Article Image

Per tre giorni ritorniamo dal meccanico, fino al suo GUT definitivo. Adesso la Mini è di nuovo in grado di muoversi, anche se il radiatore è schiacciato e tappato alla bell’e meglio: di sicuro d’ora in poi metteremo a bollire gli spaghetti ogni venti minuti!
Per evitarle le caldane viaggiamo attraverso la Grecia del nord di notte, senza vedere nulla. Dormiamo di pomeriggio a Skopje, in Macedonia, in un ostello pervaso dalla puzza di piedi. E, al calar del sole, via nelle tenebre attraverso la Jugoslavia fino all’Istria. Torniamo a casa con le tasche vuote, esausti ma soddisfatti: l’eroica vecchia Mini ha fatto il suo dovere.

Racconto le nostre peripezie in una lettera a Eva, che mi risponde per le rime da Budapest:

“ Peccato, che tal poco avete guardato in Grecia. O con tasche vuote gli occhi non vedono? Principalmente compiango la piccola auto malata. E’ guarita già da quel tempo? E naturalmente la maggiore fortuna è, che voi la siate scampati bella. ”

Article Image
(di questo viaggio mancano le foto originali)
=== ==== ====== ======= ==== ====== ==== == ==== == ====== = === ======== ===== === =====