MALI    2004

BALILLA  E  DOGON


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Erano anni che sognavamo il TREKKING nelle terre dei DOGON,

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dai tempi della trasmissione TV di Ambrogio Fogar: mentre scorrevano le immagini del documentario, una voce profonda raccontava di questo popolo misterioso che leggeva come un libro il cielo notturno, aveva scoperto prima degli astronomi la stella Sirio 2** e inoltre... enigma su enigma... “aveva visto” l’invisibile SIRIO 3***
Il segreto dei Dogòn ci seduceva, però non ci decidevamo a realizzare il sogno. Il problema per noi era uno solo: la necessità di usare la tenda durante il trekking. Non siamo tipi da campeggio, non sappiamo montare la tenda.
Ma una sera a cena l’amico Piero, parlando del suo viaggio in Mali, ci ha acceso la lampadina: “Noi non abbiamo dormito in tenda, dormivamo sulle terrazze delle case.”

Rassicurati (vi sembra logico?) da questa notizia, io e Isabella partiamo finalmente per il Mali.

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Atterriamo a Bamako, la capitale, e da lì in corriera costeggiamo le anse del fiume Niger fino a Bandiagara, un grosso villaggio su un altopiano sopra le terre dei DOGON.

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Qui dobbiamo trovare un accompagnatore e un portatore per affrontare il sospirato trekking. Sulla “Lonely Planet” scrivono in proposito: “Le guide di Bandiagara stanno acquisendo una reputazione di aggressività: le attenzioni al vostro arrivo delle numerose sedicenti guide potrebbero mettervi a disagio.” Visto che in albergo non ci danno una dritta, scendiamo in strada (una strada polverosa tra case basse) preparandoci a resistere all’assalto delle guide che sbucano dai quattro venti. Macché! Fuori è calma piatta. Nessuno ci considera. Eppure siamo visi pallidi, dovremmo attirare l’attenzione!
Un gruppo di ragazzi fa capannello intorno a un calcio balilla all’aperto. Mi faccio avanti e così ci scappa la solita balillata come nel circolo! Tengo duro in difesa, prima che finisca la partita qualcuno si presenterà... Speranza vana.

Ormai alle strette, tentiamo la sorte al “Kansaye” dove, scrivono, “c’è una piacevole atmosfera creata dai molti viaggiatori e dalle guide che frequentano il bar.” Entriamo. È un buchetto di 3 metri x 4, silenzioso e deserto nel torrido pomeriggio, con due tavolini e al banco un ragazzotto.

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Ordiniamo due Coke e le beviamo a piccolissimi sorsi, augurandoci che arrivi qualcuno. Dopo una ventina di minuti, rassegnato, chiedo informazioni al barista (in Mali parlano anche francese, per la lingua sono a mio agio). Issah (così si chiama) dice che lui è un Dogòn, è nato giù in un villaggio. “Posso farvi da guida io...” afferma con tono esitante. “Sei una guida?” “No, sarebbe la prima volta, devo chiedere al padrone.”
Il padrone è di là che dorme in qualche sgabuzzino. Il ragazzo teme di disturbarlo, aspetta una mezz’ora e poi lo chiama. Quello esce stropicciandosi gli occhi. Parliamo. Contrattiamo il prezzo: 3 notti sulle case e 4 giorni di trekking, vitto e alloggio compreso. Issah sarà guida e portatore al tempo stesso.
Usciamo. Ormai siamo tranquilli, mi concedo un’altra balillata.

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Partiamo la mattina dopo. Issah ci precede con lo zaino in spalla. Dentro abbiamo infilato i sacchi a pelo, gli inutili materassini gonfiabili, i ricambi e una bottiglia di minerale da 2 litri.
Scendiamo dall’alto della FALAISE, un vertiginoso strapiombo a picco sulla landa sottostante, per un interminabile sentiero con scalini di pietra scavato nella roccia. In basso ci aspettano i villaggi DOGON a qualche ora di cammino l’uno dall’altro.
Arrivati in fondo, su una scarpata di dossi ondulati, ci appare il miraggio... una meraviglia archeologica: castelli di sabbia fiabeschi , accoccolati lassù alla base della FALAISE che incombe e protegge. Lì vissero gli antichi Dogòn, i veggenti che scrutando il cielo stellato “sentirono vibrare” Sirio 3***. Ora sono luoghi in rovina, sacri e non calpestabili.

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Sotto sono nati i nuovi villaggi, appollaiati sui dossi a 100 / 200 metri dallo strapiombo. Le case di terra col tetto a terrazza e i granai col tetto di paglia formano il disegno di un corpo umano, con il capo, il tronco, le braccia, le gambe. Membra di un organismo vivente.

Dopo la faticosa discesa, accaldati, nel primo pomeriggio ci riposiamo sotto un baobab vicino a un pozzo, dove le donne con i loro piccoli vengono a riempire d’acqua le brocche che trasporteranno sulla testa.

Arriva da sopra una frotta di bambini vispi con zainetti di pezza e un giovane con la faccia un po’ così. Sembra stanco, tiene in mano un quadernetto. Gli chiediamo dei bambini. “Abitano nel villaggio e vanno a scuola a Bandiagara.” “Come???” “Al mattino salgono su fino in cima alla Falaise e alla fine delle lezioni ridiscendono.” Capito? Il tragitto che noi abbiamo percorso in discesa nel primo giorno di “eroico” trekking, gli scolari lo percorrono tutti i giorni andata e ritorno! Il giovane è un maestro. Anche se fa resistenza, lo costringo a mollare il quadernetto. Che buffo! È identico al quadernetto che portavo a scuola io e non facevo toccare mai ai miei alunni, con l’orario settimanale delle lezioni in prima pagina in basso!

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Quando calano le tenebre, il villaggio è illuminato dalla luna piena. Ceniamo all’aperto in un cortile in ombra, a lume di candela (non c’è elettricità, qui non pagano nessuna bolletta!). Mangiamo couscous con salsa e verdure.
Alla notte fanno festa, canti e balli. Si scaldano con la birra di miglio che passa di mano in mano in una scodella di zucca.

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A una certa ora, stanchi, andiamo a dormire. La casa è un cubo di un vano col tetto a terrazza. Per salire “scaliamo” un tronco d’albero tagliato a forma di Y, tacca dopo tacca. In cima poggiamo il piede sulla biforcazione e con l’altro piede siamo sopra.
E sopra, tutt’intorno, il quadro è grandioso. I raggi di luna dipingono una tela di Picasso, volumi strani in bianco e nero. Lo sguardo spazia a valle sulle geometrie del villaggio e a monte verso i “castelli” fiabeschi degli antenati e la Falaise: il fondale grigio.
Sul nostro tetto hanno messo dei piumoni-materasso. Ci togliamo le scarpe, ci infiliamo vestiti nei sacchi a pelo e, distesi a naso insù, guardiamo in faccia la luna. Intanto sotto la gente passa, parla e ride, fa chiasso e ci tiene compagnia. Dopo qualche minuto dormiamo come ghiri.

Al mattino sveglia anticipata. All’alba corriamo verso una radura e ci sediamo per terra ai bordi... Ecco, rimbomba un bum bum di tam tam, irrompono in campo inquietanti MASCHERE di legno tra svolazzi di fibre colorate. I danzatori dogòn avanzano in fila a passo cadenzato. Sembrano un mostruoso millepiedi che striscia in una nuvola di polvere e avvolge e svolge le sue spire come un pitone al suo risveglio. Ciascuna maschera è un essere magico primordiale (lo stregone e il cacciatore, l’antilope e il serpente, la donna sui trampoli e...). Ciascuna ha le sue movenze e il suo ruolo nel “racconto” della creazione dell’universo.
È un’esibizione eccezionale, messa in scena per un gruppo di volontari francesi, spuntati non si sa da dove. La sera prima pensavamo di essere soli tra gli abitanti, che ora, sparpagliati sulle rocce alle nostre spalle, partecipano alla cerimonia in religioso silenzio. Abbiamo avuto fortuna! Assistere a una danza delle maschere è un evento straordinario.

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Una tazzona di caffè ci dà la carica: in mattinata affrontiamo un trekking su un sentiero pianeggiante, sempre sorvegliati a sinistra dalla FALAISE, lunghissimo falpalà ocra in fondo al cielo. Verso mezzogiorno entriamo nel secondo villaggio. Issah è contento, finalmente è nel SUO villaggio! Saliamo tra granai e case a zig-zag per vicoli e scalette. Lui bussa alle porte e saluta tutti, parenti e amici, con ritornelli cantilenanti in lingua dogòn. Facciamo amicizia con la sorella, che ci offre un sacchetto di arachidi.
Più in su, sopra una roccia liscia, le donne setacciano il miglio.

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Alla notte ci sistemiamo sul secondo terrazzo. Ci infiliamo nei sacchi a pelo.

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Nel silenzio un battere di tam tam ci giunge all’orecchio da chissà dove...cessa... riprende... cessa... Cosa sarà? Nella mia mente intorno a un falò ballano innumerevoli maschere, più strane e terrifiche di quelle già viste, immagino un sabba misterioso sotto la luna piena e la stella Sirio 3*** che mi perdo! Non resisto, sguscio fuori dal sacco, avverto Isabella, che sta prendendo sonno, e scendo. Nel cortile scorgo nella penombra la sagoma scura di Ogo, il padrone di casa. Mi sfogo. Mi dice di seguirlo. Trottiamo in discesa lungo una striscia inargentata di polvere e pietre tra radi alberi, il battito cupo dei tamburi si avvicina. Cammina cammina giungiamo a un torrentello. Lì in uno spiazzo intravvedo un cerchio di giovani a torso nudo con una fascia intorno alla testa.

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Parte il bum bum cadenzato, che accelera nell'attimo in cui il cerchio si chiude intorno a due lottatori, poi diventa frenetico quando i rivali si abbrancano, tendono i muscoli lucidi, si placcano, si strattonano con violenza finché uno viene sbattuto a terra, perdente. I tam tam tacciono all’istante. Denti bianchi in mostra, mani che battono sulla spalla del vincitore. Ogo mi spiega che nelle notti di plenilunio i due villaggi vicini si sfidano. Questo mese il “nostro” villaggio gioca in casa e ospita i giovani venuti da fuori.
Assisto a una dozzina di incontri, dodici cerchi magici sotto la luna tonda. Poi sento l’esigenza di rientrare, è mezzanotte passata. Tra tutte quelle facce nere al buio a malapena intercetto la faccia di Ogo e torniamo su a casa.
Sopra il tetto mi infilo nel sacco a pelo accanto a Isabella che farfuglia qualcosa nel dormiveglia.

Ancora una camminata in pianura, una notte sulla terza casa, poi risaliamo la FALAISE per un sentiero a scalini ripido come quello per cui eravamo scesi. Arrivati in cima, sull’altopiano, il trekking è finito. Ci riposiamo su un masso lungo lo sterrato e nelle nostre teste fluttuano immagini, colori, suoni, emozioni.

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Giunge una Jeep che ci riporta a Bandiagara. Salutiamo l’amico Issah e gli diamo la mancia. Non invadente, Issah è stato una buona guida, anche se non sa nulla di nulla della stella SIRIO 3***

Prima del tramonto usciamo di nuovo in strada in mezzo ai perdigiorno.
Il ragazzo batte la pallina, io impugno le maniglie. Tutto per tutto. Ci giochiamo la finale intercontinentale di calcio balilla!

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