SAMOA 2009
TSUNAMI

Sono alle Samoa, il cuore della Polinesia. Da qui 2300 anni fa gli intrepidi navigatori partirono sulle loro barche a vela con bilanciere, scivolarono leggeri sull’Oceano Pacifico verso l’ignoto, guidati dalle stelle e dalle onde, e scoprirono e popolarono a nord le Hawaii, a est Tahiti, a sud la Nuova Zelanda.
Ad Apia, la capitale, un paesotto disteso lungo la costa, noleggio un’auto e faccio il giro dell’isola di Upolu, tra palme e spiagge.


Per raggiungere Savai’i, la seconda isola, non prendo il traghetto, economico ma scomodo. Prendo l’aereo. Sulla pista vasta come un campo di patate mi aspetta un piccolo velivolo a elica. Salgo a bordo con la valigetta. I sedili sono una dozzina. Sale anche il pilota e mi saluta, chiudono gli sportelli: sono l’unico passeggero! Decolliamo, il pilota, io e la valigetta. Altro campo di patate, atterraggio tranquillo con frenata finale per non finire a bagno.



Suvai’i è più selvaggia e ruspante. Davanti alla mia nuova auto scorrono palafitte di legno simili a bungalow in fila davanti all’oceano. La più grande di ogni villaggio, aperta e col tetto su colonnine, è il luogo di raduno degli abitanti. Gente sorridente e pacifica. Impressionanti colate laviche ricoprono i pendii, una distesa di onde nere e secche. Siamo sopra una faglia lunga come un fuso orario che spacca il suolo sottomarino del Pacifico.




Sull’aereo del ritorno ad Apia questa volta non viaggio solo ma in compagnia di alcune samoane... poche, perché le samoane sono ben tornite e a ciascuna occorrono due sedili, uno per chiappa!
Soggiorno in un alberghetto in faccia al mare, ho ancora qualche giorno a disposizione per riposarmi prima di partire per le isole Tonga.

Dormo un sonno meritato nella mia stanza al primo piano... e al mattino la sveglia! E che sveglia! Sento oscillare il letto sotto di me in modo pauroso, come se fossi in una culla sospinta da una gigantessa. Il terremoto!!! Per un attimo penso di alzarmi e di accucciarmi in un angolo, come dettano le istruzioni, ma il terrore mi incolla al mio morbido materasso. Sto fermo lì con le braccia e le gambe divaricate a guardare il soffitto in attesa che mi crolli addosso. L’oscillazione dura una decina di secondi (immagino)... interminabili. Poi tutto si ferma, tutto miracolosamente in piedi senza calcinacci o altro. Volo via dalla stanza e mi precipito giù per le scale. Esco dalla porta a vetri aperta. Fuori. Salvo!

D’impulso attraverso la strada che mi separa dal mare per mettermi al sicuro lontano dal cemento. Nel momento in cui raggiungo la spiaggia mi trapana l’orecchio un fischio ripetuto. Mi volto. È un poliziotto dall’altra parte della strada che a grandi cenni mi ingiunge di allontanarmi dal mare. Non capisco. Riattraverso e vado incontro al poliziotto, che ha alle spalle un gruppetto di persone. Grido: “EARTHQUAKE / terremoto”. E lui di rimando una frase che termina con TSUNAMI. Sono sconcertato: una scossa seguita da un maremoto? Ma è tutto in ordine, la strada è asciutta.
Dopo non so quanti minuti, allarmato per un verso e tranquillizzato per l’altro, come se il sisma fosse definitivamente archiviato, da perfetto incosciente ritorno al mio hotel: è l’ora di colazione, anche lo stomaco vuole la sua parte! Rientro. Non c’è nessuno al piccolo banco della reception, è normale. Salgo le scale. Nessuno. Un silenzio di tomba, neanche un fruscio. Alcune camere hanno le porte aperte e dentro nessuno. Sembra un incubo notturno senza sonoro in cui, se cerchi di parlare, non emetti neanche un rantolo!

In fretta ritorno in strada nel mondo dei vivi. Alle domande nel mio elementare inglese, un uomo sillaba la parola EVACUATION e mi spiega: era arrivato un camioncino, aveva caricato sul cassone i clienti del mio albergo (una ventina? una trentina?) e li aveva portati nell’entroterra su un colle. Ma quando? Prima o dopo la mia fuga precipitosa? È una domanda che mi sono sempre posto senza riuscire a darmi una risposta. Non mi sono reso conto di niente! Ripensandoci nel riordinare i fatti per narrarli qui, dopo anni di buio finalmente mi è venuta in mente l’unica risposta plausibile.

(È solo una mia supposizione). Visto che i poliziotti in strada erano già stati allertati, dev’essere successo questo: mentre dormivo della grossa (ho il sonno molto pesante) si è avvertita una tremenda scossa di terremoto (la più forte?). Io ho continuato a dormire senza accorgermi di nulla. Tutti si sono precipitati fuori, è arrivato il camioncino, li ha caricati ed è partito per la collina. Seconda scossa di terremoto. Mi sono finalmente svegliato ecc. ecc.
Ma torniamo ai fatti. Sono di nuovo in strada e il mio stomaco riprende a protestare, forse lubrificato dall’adrenalina. Nell’albergo accanto al mio (un bell’hotel a 5 piani con piscina) non hanno evacuato i clienti. Non chiedetemi perché! A una certa ora tutti vanno a fare colazione e io mi accodo a loro. Non nella sala a pianterreno, a rischio di allagamento. Ci fanno salire all’ultimo piano. Siamo allo stretto in un corridoio con sedie di fortuna, ma ci godiamo un breakfast coi fiocchi.
Rimaniamo qualche tempo su. Poi, a torto o a ragione, l’allarme cessa e scendiamo. Nel tardo pomeriggio, dopo un lungo pic-nic sull’erba, anche i miei compagni di albergo tornano all’ovile.

Il mattino seguente chiedo in giro informazioni sullo tsunami. Ho in mente lo tsunami che qualche anno prima aveva fatto un numero incredibile di vittime in Asia e quei video sconvolgenti mi attraversano la testa, sono ansioso di avere notizie su quanto è successo ieri. Mi spiegano che l’onda di maremoto ha colpito la sponda opposta dell’isola e ha causato un centinaio di morti! Persone che forse ho incontrato nel mio giro in auto una settimana fa... Che tragedia!
Mi dicono che l’sola è ferma, è tutto chiuso. Sono scosso e inquieto. Che ci faccio qui oggi? Senza pensarci su troppo, mi incammino a piedi sul famigerato lungomare, sono 3 o 400 metri fino al centro.
Avevano ragione! Le serrande sono abbassate, cessata ogni attività, tutto sbarrato... meno che il McDonald’s! Quelli hanno imparato dai cinesi (o glielo hanno insegnato) il primo comandamento: “Non chiudere mai bottega!”
Alla ragazza col berretto giallo ordino un gelatone con la cioccolata calda.