JAMAICA 2002
♫ ISLAND IN THE SUN ♫


Jamaica, l’isola nera dei Rasta che fumano marijuana e adorano Bob Marley. Sono tipi pacifici, con l’occhio a mezz’asta che spunta tra i capelli ricci. Di loro non ti devi preoccupare.

Io e Isabella abbiamo deciso di fare il giro della Jamaica con i trasporti locali. Sono dei minibus che fanno la spola tra le principali città e partono solo quando sono zeppi. Alla guida dei giovanotti fuori di testa, imbottiti di crack. Al ritmo di una musica dissonante spacca-cranio al massimo volume, corrono a tavoletta sorpassando tutti sulla corsia opposta e, incrociando un mezzo, rientrano per un pelo proprio all’ultimo istante.
Prima tappa è Mandeville, nell’interno, che la guida Lonely Planet definisce “la cittadina più graziosa dell’isola, perfetta per una fuga su un altopiano”. Non troviamo da dormire in centro, dobbiamo accontentarci di un B&B fuori di 2 o 3 km.

Nel tardo pomeriggio gironzoliamo per il mercato. A un certo punto si avvicinano due ragazzotti spavaldi e cominciano a palparmi le tasche dei pantaloni. Ci allontaniamo scocciati. Di lì a qualche minuto li rivediamo a distanza che guardano. Uno si è infilato in testa un berretto per mimetizzarsi. Viene buio. Contattiamo un tassista per tornare al B&B. Parla un inglese sparato, si capisce poco. Saliamo dietro, una passeggera è seduta davanti.
Nel momento in cui l’auto si avvia, sbucano dalle tenebre i due ragazzotti che in un batter d’occhio sollevano il portellone posteriore e si infilano nel bagagliaio alle nostre spalle. Adrenalina a mille. La passeggera scende poco dopo. Arriviamo dalle parti del B&B, paghiamo, scendiamo. Ci dirigiamo verso la locanda. Buio pesto. Io quei due me li sento dietro, ho questa sensazione ma non mi volto. Cancello chiuso, nessuna luce. Suoniamo. Dopo un interminabile minuto ci aprono. Respiriamo. E i due ragazzotti? Sono rimasti sul taxi. In quei 20 metri e 3 minuti avrebbero potuto accopparci e spogliarci senza che nessuno se ne accorgesse. O erano delinquenti improvvisati e poco determinati o semplicemente, facendo gli sbruffoni, si sono fatti dare un passaggio verso casa dal tassista...

L’indomani mattina, tutt’altro che tranquilli, arriviamo al terminal dei minibus. Ci fanno caricare le valigie su un mezzo in partenza. Dobbiamo aspettare. Non parte finché tutti i posti non sono occupati. I passeggeri arrivano alla spicciolata. Quando il minibus è quasi pieno compare dal nulla un tipaccio armato di machete e va dritto ad affrontare a muso duro l’autista. Il malcapitato immediatamente si mette in riga e ci fa caricare i bagagli su un secondo minibus vuoto, fermo lì vicino. Racket dei trasportatori! Mentre aspettiamo sempre più allarmati, ci viene incontro un bulletto prepotente e comincia a palparmi le tasche dei pantaloni, tanto per cambiare! Gli do uno spintone, mi dà uno spintone. L’attesa continua con quello che rimane lì a un metro di distanza. Finalmente il secondo autista mette in moto. Saliamo. Il bulletto fuori dal finestrino aperto mi dà una manata in faccia. Chiudono il portellone dietro. Ci saranno ancora le nostre valigie? Il minibus sovraccarico parte come un razzo al ritmo dei bassi spacca-orecchie a tutto volume. È fatta. Addio, graziosa Mandeville!
Questa è la black Jamaica per chi vuole scoprirla e non si arena sulla spiaggia di Negril per abbronzarsi. Sono passati i tempi in cui Harry Belafonte cantava ISLAND IN THE SUN con voce calda e struggente: ♫ O mia isola nel sole... ♫