EFATE (VANUATU)    2009

IL FOTOGRAFO DI ASTUCCI


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Sono “Au peché mignon”, un raffinato caffè di Port Vila, la capitale delle isole Vanuatu.
Mi prendo il meritato riposo dopo il trekking sul vulcano di Tanna. La cameriera posa sul tavolino la mia colazione, flan e café au lait.

Passo la mattinata al Museo Nazionale, piccolo ma pieno di sorprese: inquietanti maschere astratte, collane di conchiglie e cavigliere di sonagli, costumi coloratissimi, stuoie e frange, copricapi di piume, foto di danze e cerimonie tribali. È la mia prima volta in Melanesia, l’anima primitiva e oscura del Pacifico. Più guardo e più forte è la sensazione che quest’anima mi sfugge e che sto irrimediabilmente perdendo quelle cose lì. Port Vila è una cittadina sonnolenta, una fila di case sempliciotte lungo il mare fino al porto e il luogo più eccitante è il mercato di frutta e verdura.

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È quasi mezzogiorno. Dalla strada odo un ritmo di tamburi a monte. Mi lascio guidare dall’eco e mi addentro in un sentiero nella foresta... il tam tam rimbomba sempre più cupo. Sbuco in una vastissima radura, dove danza un gruppo in maschera che sembra si sia materializzato dalle foto del museo, guizzate fuori all’aria aperta in un girotondo vorticoso . Di lì a poco la musica cessa e i danzatori si avviano verso i margini del prato. “3rd NATIONAL ARTS FESTIVAL” è scritto su uno striscione. Chiedo a un giovane. Mi dice che la festa è cominciata oggi e dura 5 giorni, mattino e dopopranzo.
La notizia mi dà la carica e così, giorno dopo giorno, sono presente a tutti gli appuntamenti e non mi perdo niente.

I danzatori arrivano da tutte le isole dell’arcipelago (e anche dalle Salomone e dalla Nuova Caledonia) con pitture, tatuaggi, maschere, costumi differenti da villaggio a villaggio, in un caleidoscopio di colori e ritmi. Le esibizioni sono concatenate, senza soste: mentre una tribù finisce di danzare, entra in scena un'altra tribù che continuerà da sola e alla fine sarà affiancata da una terza... e avanti di questo passo per ore.

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Gli spettatori, in piedi o seduti sull'erba, tracciano una spaziosa ellisse intorno a quelle trottole roteanti nell'aria da cui sono irresistibilmente attratti.

I turisti sono pochi, rimangono 10 minuti, fanno qualche foto e se ne vanno. Il primo pomeriggio resta in campo soltanto un fotografo: con un “cannone” lungo mezzo metro scatta a raffica. Sicuramente è un professionista, penso, si capisce dal vistoso cartellino di identificazione appeso al collo. Pure io nel mio piccolo continuo a scattare con la mia “saponetta” digitale.
Mi vengono incontro due dello staff organizzativo, li seguo fino a un gazebo. Pago una piccola somma (il biglietto, penso) mi fanno scrivere nome e cognome su un foglio e spariscono dietro a una stuoia. Presto ricompaiono con il MIO cartellino di identificazione, che devo appendere al collo! Ora anch’io sono un “photographer” patentato e posso ritrarre a piacimento gli uomini seminudi con gli astucci penici bene in vista e le donne avvolte in vesti che richiedono così tante fibre vegetali da far fremere i cocchi e le povere palme spogliate (sono le nefaste conseguenze della predicazione missionaria). 😉

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E non è finita qui... In un altro spiazzo erboso hanno allestito un grande palco di legno, tappezzato di foglie e fiori, dove al calar delle tenebre si esibiscono suonatori e cantanti. Che spettacolo i Maori neozelandesi: si atteggiano a guerrieri terribili e "minacciano" il pubblico srotolando le loro linguacce! Naturalmente tutte le notti io sono lì, in mezzo alla gente del posto, come in una grossa sagra.
Ma c’è un fuori programma. Laggiù sotto i rami di un mango si ritrova puntualmente un gruppetto di canterini (un “trallalero” locale) che, accompagnati da un ukulele e da un basso a bastone, con vocine in falsetto cantano in coro struggenti melodie del Pacifico ibridate al ritmo americano dell’honky tonk, con un effetto straordinario e unico.

Oh Vanuatu, sei un vortice... che nostalgia!

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